mercoledì 30 gennaio 2013

Storie curiose - La famiglia Lykov, per quarant'anni nella taiga siberiana senza nessun contatto esterno.


Oggi incontriamo nel nostro viaggio una storia certamente curiosa ed incredibile. Soprattutto per noi oggi, cittadini del mondo ed abituati ad essere circondati dalle informazioni.
Si racconta di soldati giapponesi relegati su qualche isoletta del Pacifico che solo dopo anni siano venuti a sapere della fine della Seconda guerra mondiale, ma non è molto conosciuta la storia di una famiglia russa che ha vissuto per quarant'anni, nella taiga siberiana desolata senza alcun contatto con il mondo circostante.


Si tratta dei Lykov, il padre Karp Osipovich, la madre  Akulina, i due figli Dmitry e Savin, e le due figlie Natalia e Agafya. Sono loro, forse, gli ultimi eremiti della storia. Tagliati consapevolmente fuori dal mondo, infischiandosene di Stalin e di Gagarin, ma anche della Seconda Guerra Mondiale, di cui in realtà non hanno mai sentito parlare, né del suo inizio né della sua fine.

Come spiega la versione online della Smithsonian Institution, i Lykov, channo trascorso la loro esistenza nella taiga siberiana, senza alcun contatto umano, dal 1936 al 1978, al confine con la Mongolia, in una capanna di legno, vicino al fiume Abakan, senza avere nessun contatto esterno, a 240 chilometri dal più vicino insediamento. Senza giornali o tecnologia, tanto da non sapere nulla dello scoppio (e della fine) della Seconda guerra mondiale nè di Hitler o altro. Karp Lykov, il capofamiglia, la moglie Akulina e due figli di 9 e 2 anni al momento della partenza, facevano parte di una setta religiosa ortodossa perseguitata dagli Zar e dai sovietici, così, dopo che le armate rosse spararono al fratello di Karp, scelsero di nascondersi nelle campagne. Qui hanno vissuto di agricoltura, e nel frattempo la famiglia si è allargata con altri due bambini.
La loro storia è raccontata anche nel libro “Siberia per due. Madre e figlia lungo lo Enisej” di Laura Leonelli:

Era successo in una regione dei monti Altaj, quasi sul confine con la Mongolia, là dove nasce lo Enisej. Tra quelle montagne vivevano il “vecchio credente” Karp Lykov e la sua famiglia, da secoli in fuga e in solitudine dopo le scomuniche di Pietro il Grande e Caterina II. Per loro la Siberia era diventata una seconda patria, una terra libera. Vivevano tranquilli. Ma una mattina del 1938 una pattuglia della guardia forestale sovietica si presentò alla porta di casa, intimando a madre, padre e due figli di lasciare la proprietà – in tutto una povera isba e qualche campo coltivato – perché quelle terre sarebbero entrate nella riserva dei Monti Altaj e nessuno avrebbe potuto né cacciare né coltivare. Se proprio volevano rimanere, i Lykov potevano trovare impiego come guardiacaccia, visto che nessuno meglio di loro conosceva le foreste. Ma i Lykov rifiutarono l'offerta e si rimisero in cammino, fino a che non raggiunsero un angolo ancora più remoto della Taiga, lungo le rive del fiume Abakan, un affluente dello Enisej.
I quattro giovani Lykov hanno vissuto senza sapere nulla del mondo esterno e tutto ciò che hanno sentito è rappresentato dalle storie raccontategli dai genitori. E Karp e Akulyina vivevano nella più totale ignoranza su ciò che stava accadendo là fuori. Almeno fino a quando un gruppo di geologi sovietici guidati da Galina Pismenskaya (nella foto-articolo, sulla sinistra). Il gruppo di geologi sorvolava con un elicottero la zona ed intravide dall’alto per caso il padre e i quattro figli e poi li raggiunse grazie a una faticosa marcia nei boschi.
Queste sono le  prime impressioni della scienziata:

Accanto ad un ruscello c'era una dimora. Annerito dal tempo e dalla pioggia, il rifugio è stato tirato su con le cortecce e i detriti della taiga, steccati e tavole. Se non fosse stato per una finestra delle dimensioni del mio zaino, sarebbe stato difficile credere che delle persone vivevano lì. Ma era proprio così, non c'è che dire …. Il nostro arrivo è stato subito notato, come abbiamo potuto poi constatare.La porta cigolò e la figura di un uomo molto vecchio emerse alla luce del giorno, sembra uscito da una fiaba. A piedi nudi. Indossa una camicia rattoppata con juta e pantaloni dello stesso materiale. E aveva una lunga barba incolta. Aveva i capelli arruffati. Sembrava spaventato ed era molto attento a noi …. Abbiamo dovuto dire qualcosa, così ho cominciato: “Auguri, nonno! Siamo venuti a trovarla!”Il vecchio non rispose subito …. così, abbiamo sentito una vocina incerta: “Be', dal momento che hanno viaggiato fino a qui, potremmo anche farli entrare” [...] Il silenzio fu improvvisamente rotto da singhiozzi e lamenti. Solo allora abbiamo visto le sagome di due donne. Una era in crisi isterica e pregava: “Questo è per i nostri peccati, i nostri peccati”. L'altra svenne. Erano terrorizzate. E' a quel punto che ci siamo resi conto che dovevamo uscire da lì il più velocemente possibile”.

La loro storia è raccontata per la prima volta da un giornalista della Komsomol’skaja Pravda, Vasilij Peskov (Actes Sud, in Francia, ha pubblicato con grande successo il suo libro Eremiti nella taiga). Per più di un decennio ha tenuto contatti stabili con loro e ne ha riferito ai suoi lettori che a decine di migliaia si sono appassionati alla vicenda, facendo a gara nell’inviare consigli e aiuti materiali, e sperando di indurre almeno la più giovane, la straordinaria Agafia, a rompere il suo isolamento. Ma lei prima si incuriosisce, poi, alla fine, si ritrae.

Per Agafia quanto è vivo nella memoria tramandata è ancora solo l’epoca in cui la Russia si sbranò su come ci si dovesse fare il segno della croce – se con due dita o con tre –, tutto il resto è ignorato. (Per questa diversità liturgica venne tagliata la lingua a migliaia di persone, mentre decine vennero bruciate vive o si autoimmolarono). Tuttavia Agafia riesce a conservare una serena saggezza e intelligenza del vivere.






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